GREAT TO BE BACK IN THE MOST BEAUTIFUL COUNTRY IN THE WORLD
di Paolo Vites
"E' bello essere di nuovo nel piu' bel paese del
mondo" dice Bob Dylan al pubblico di Torino dopo aver terminato il primo
brano della serata, pubblico che risponde con un boato di meravigliata
sorpresa: non solo Dylan parla, ma se ne esce con questa frase di
dolcissima dedica all'Italia che nessuno si sarebbe mai aspettato. E'
solo l'inizio di quella che sara' una favolosa serata. Devo ammettere che
sono andato a Torino senza aspettarmi niente di cosi sconvolgente, forse
perche' da qualche anno le performance di Dylan mi lasciano non piu'
estasiato come una volta. Devo dire pero' che il vecchio detto, cioe' che
vedere Dylan on stage piuttosto che sentirlo su qualche buon bootleg o
qualche buon nastro e' sempre una cosa differente e' sempre vero, poi, come
mi avevano confidato amici che continuano a vederlo dal vivo al ritmo di
dieci quindici serate all'anno, che dal '97, cioe' dopo il ricovero, ha
ripreso una forma smagliante, credo paragonabile solo a quella del
tour con Tom Petty del 1986. E' stato il Dylan piu' professionale e piu'
rigoroso che abbia mai visto: nulla fuori posto, ne una nota di chitarra
ne una nota di voce; la voce poi e' meravigliosamente okay, come non
accadeva dai primi concerti del neverending tour, 1988. Evidentemente
aver smesso di fumare ha fatto proprio bene! Il concerto comincia con una
serratissima e favolosa Gotta Serve Somebody; credo di avergliela sentita
fare dal vivo per l'ultima volta nel '91, ma non c'e' paragone: e' un rock
blues tiratissimo con duelli di chitarre pregevolissimi (complimenti a
Larry Campbell: e' un chitarrista coi fiocchi; ottimo anche il nuovo
batterista, mi spiace per John Jackson e Winston Watson che avevo molto
amato ma qui siamo su altri livelli). I Want You e' delicatissima e
poetica: i primi due brani di un concerto di Dylan sono sempre uno shock,
almeno per il sottoscritto: "LSD allo stato puro" come diceva Phil Ochs.
Sara' per la combinazione di vederlo ancora una volta in carne e ossa a
pochi metri, sara' per quel "magma di lava rovente" che spara dagli
altoparlanti, ma i primi due brani di un suo concerto per me sono sempre
estasi pura. Cold Irons Bound e' molto buona, quasi psichedelica e
anch'essa tirata; mi spiace pero' (anche se so che molti non sono
d'accordo) per l'esclusione da questo tour di All along the watchtower,
mi era sempre piaciuta anche nei periodi piu' neri di Dylan (leggasi
'91-'92). Just Like A Woman e' anch'essa dolcissima ma un po' di routine;
serve a riportarmi sul pianeta terra dopo "l'estasi iniziale". Can't Wait
e' a tempo di reggae: e' splendida, Dylan la canta benissimo, anche se io
amo da pazzi la versione in studio. Silvio e' il solito grandissimo
rock'n'roll che i Rolling Stones non riescono piu' a fare da vent'anni:
Dylan si. I brani acustici sono sorprendenti: It's all over now baby blue
e' completamente riscritta, ed e' per la prima volta anche
superiore all'incisione originale; come diavolo fa a scovare tali nuove
linee melodiche, solo lui lo sa; e' affascinante, coinvolgente e
sentimentale. Masters of war ha un up-tempo piu' veloce delle recenti
versioni, sputa le parole come un mitra ed e' dannatamente bella. Tangled
up in blue si riavvicina alla versione originale di Blood on the tracks,
con una autentica sventagliata di liriche sputate in faccia all'audience.
L'unico momento che trovo un po' poco riuscito e' l'assolo di armonica,
fatto senza chitarra, con la mano destra che regge il filo; Dylan sembra
quasi prendersi in giro da solo, farsi una auto parodia, e anche l'assolo
mi sembra un po' sconclusionato, ma il pubblico sembra gradire; Non lo
so, ma mi sembra un po' "Elvis a Las Vegas" ...Knockin' on heaven's door
e' riletta secondo le linee melodiche originali; molto bello il coro di
sottofondo fatto da Campbell e Buxter. Make you feel my love e'
strepitosa, superiore alla versione in studio; rende molto di piu' con
chitarre e batteria e Dylan la canta benissimo. Poi si avvera il mio
piccolo sogno di una vita: finalmente lo sento fare Blind willie McTell
dal vivo: una versione da favola, semplicemente favolosa: cupa,
ossessiva, quasi demoniaca, il piu' grande tributo mai eseguito su di un
palcoscenico al blues, con un grandissimo lavoro di chitarre e slide.
Sono tornato sotto effetto di LSD...Highway 61 e' potentissima, al
solito: un'autentica furia della natura.Love sick e' anch'essa superiore
alla versione in studio: Dylan potrebbe tranquillamente reincidere Time
out of mind e vincere altri due Grammy ...Rainy day women e' il solito
carnevale finale, con tutte le luci accese e grande festa sul palco e tra
il pubblico, mentre Blowin' in the wind (nuova rilettura melodica, con i
cori nel ritornello) e' davvero efficace e la miglior resa di questo brano
dai tempi della Rolling Thunder Revue del '76. In conclusione: Dylan ha
vinto ancora una volta. Tutto quello che e' sempre stato detto di lui
torna con incredibile puntualita': e' il migliore, ogni volta che si
ripresenta trova nuovi stimoli e nuove idee, sa riscrivere sempre il suo
repertorio con freschezza come se si trovasse davanti a brani mai fatti
in precedenza. Anche fisicamente stava bene: Dylan '98, uno dei suoi tour
migliori di sempre.
Paolo Vites